Un racconto piccolo ma intenso, con due voci adolescenti, forti e fragili in modi diversi. Ci abbiamo lavorato insieme: Francesco si è rivolto a Giulia Abbate per una valutazione, che ha poi fatto seguire da un editing alla seconda stesura del testo. Abbiamo cercato le parole, i timbri, le emozioni di un ragazzo e una ragazza che, marginalizzati da un mondo incapace e ottuso, reagiscono in maniera diversa all’esclusione e si trovano vicini. Almeno per un po’.
Ecco cosa ci racconta l’autore:
Questo romanzo breve è veramente nato quasi per caso, raccogliendo l’invito a partecipare a un concorso – partecipazione mai avvenuta, per la cronaca – il cui tema era quanto di più generico e “pericoloso” (il rischio di scrivere banalità era altissimo) ci potesse essere: “il sociale.” Il caso volle che, in quei giorni, mi fossi messo a leggere nuovamente i testi di alcuni album che, per i ragazzi della mia generazione, furono quanto mai formativi. E che, contestualmente, ne parlassi proprio con mio figlio, allora appena dodicenne (che poi è stato fondamentale per rendere la storia attuale, contemporanea e non figlia degli anni novanta); una maniera come un’altra per sviscerare temi complessi, evitando che i discorsi si trasformassero in sermoni o monologhi. La storia è nata direttamente dalla mia pancia, pur dentro ai rigorosi paletti imposti dalla scaletta che avevo buttato giù, e per qualche mese è rimasta lì, abbandonata a se stessa. Come anticipato, alla fine non partecipai al concorso, perché per una volta, non riuscii a raggiungere il limite minimo di battute. O meglio, decisi di non raggiungerlo, perché mi sembrava di snaturare l’essenza stessa della storia, che doveva essere un cazzotto nello stomaco, e non perdersi dietro a elucubrazioni interminabili, tenuto conto che i protagonisti sono due adolescenti di 16 anni. È rimasta lì, dicevo, fino a che, non ho deciso di vedere se di tutto il materiale che avevo scritto fino a quel punto, ci fosse qualcosa che valesse la pena di migliorare e così ho contattato lo Studio83, e nello specifico Giulia la quale, oltre ad aver apprezzato “Il Re ha parlato”, ne ha subito evidenziato i limiti, che poi erano quelli che io stesso gli imputavo: il racconto andava asciugato, e poco importa se poi sarebbe diventato una sorta di “ibrido”: troppo breve per una pubblicazione singola, troppo “solo” per una pubblicazione in una raccolta di racconti (gli altri miei componimenti brevi erano, in quel momento, troppo acerbi e necessitavano di un lavoro molto più lungo). Comunque, essendo la pubblicazione in quel periodo non proprio nei miei pensieri, e dato che ero motivato unicamente dal migliorarmi quanto più possibile, non stetti a pensare neanche per un istante al discorso della ipotetica commercializzazione dell’opera. Insomma, è stato un lavoro sinceramente divertente ed esaltante, è sempre piacevole vedere che si impara ogni volta qualche cosa, e che alla fine gli sforzi vengono ripagati. Poi, ciliegina sulla torta, è arrivata anche la pubblicazione. Anzi, in verità le ciliegine sono due, dato che è in uscita anche un secondo libro (anch’esso nato col prezioso aiuto di Giulia).
Ma di cosa parla, esattamente, “Il re ha parlato”?
Parla del passaggio che ognuno di noi ha affrontato attorno ai sedici anni, con tutte le paure, le esaltazioni, il disperato bisogno di accettarsi e di venire accettati. Parla di diversità, di bullismo, di quel mondo totalizzante che è la scuola (intesa non solo come struttura, ma come vero e proprio microcosmo, dove nascono e si consumano i primi amori, i primi drammi, i primi trionfi personali). Mi hanno chiesto spesso quale sia la morale, dato che è un libro estremamente crudo, grunge (e non poteva essere diversamente): onestamente non lo so. Non mi interessa darne una. Perché fornire morali significa dare risposte. Io non ne ho, scrivo anzi per allargare la domanda, per obbligare la gente a porsela. Ecco: se, una volta letto il libro, la gente cominciasse a riflettere molto intensamente, allora sarei contento, avrei la conferma di aver fatto un buon lavoro.
Grazie a Francesco Calzoni per queste parole, e auguri di buone scritture!
Di Giulia Abbate.
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