Carlo ascolta e si tatua cose: Robert Johnson
Il diavolo è sempre stato al top, diciamocelo. Purtroppo. L'animo umano non ha bisogno di troppi stimoli per cedere al lato oscuro. È sempre stato così, e sempre lo sarà. Ma anche il principe della notte subisce il fascino dell'ingegno umano. E fu così che, a forza di ascoltare quei ritmi ipnotici, che prolificano nelle vibrazioni basse della pancia - perfetto contraltare delle lodi a Dio dei gospel domenicali -, il diavolo si innamorò del blues. Fu così che comprese che c'era un modo per guadagnare appeal, quasi di emanciparsi dalla sua stessa figura. Della vita e leggenda di Robert Johnson hanno scritto in tantissimi, e in mille modi diversi. Su come fosse comunissimo accompagnatore di musicisti ben più dotati, della sua sparizione durata un anno e del suo ritorno, di quando cioè era diventato talmente bravo da fare con una mano sia la linea della chitarra che quella del basso. Si è favoleggiato dei suoi incontri nei crocicchi e di un patto: sete anni di gloria in cambio della sua anima; delle donne che aveva in ogni bettola in cui suonava, dei mariti cornuti e furiosi, e di quella bottiglia già aperta dalla quale non avrebbe mai dovuto bere. È indubbiamente la storia più affascinante del rock, la madre di tutte le leggende nere. Ma a me piace ribaltarla, pensare che un giorno il diavolo si sia trovato davanti un ragazzo e vi abbia visto un talento talmente eccelso - se pur in embrione - da rimanerne affascinato, innamorato. Talmente irretito da quei suoni da decidere che anche il principe degli inferi doveva suonare blues. Non è stato Robert Johnson a chiedere alcun dono, ma Satana in persona a pregarlo di legare la propria aurea all'immortalità del blues di quel giovanotto dalla voce di donna. Vi sembrerà una storia immorale, forse è così, ma che vi piaccia o no ha fatto scop*re più questa indefinita paura del proibito - che scioglie le remore delle ragazze e pompa i giovanotti - che qualsivoglia power ballad strappalacrime.
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