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venerdì 6 gennaio 2023

Carlo il bonsai intervista persone speciali: Maria Laura De Luca (M.J. Inkroads) ci parla di "Mai stato figlio".

 


D Partiamo dalla domanda più scontata: come mai, tu che hai sempre scritto tutt’altro genere, hai deciso di cimentarti in una forma di narrativa che nasconde non poche insidie? Qual è stata la notizia, avvenimento, idea, sogno (o quello che vuoi) che ha fatto nascere l’embrione del romanzo?

 

R È stata una sfida. Dopo i miei due primi lavori, guidati da sentimenti positivi e luminosi, un mio caro amico ha osato lanciare la sfida. Sono bastate poche parole: “Ma tu sapresti scrivere di un cattivo? Non ci sono mai dei personaggi veramente negativi nelle tue storie, ce la faresti?”. Amo le sfide, non lo nego. Ecco perché ho acceso subito il pc e ho iniziato a buttare già le prime righe di quello che credevo sarebbe stato un racconto breve e invece poi è diventato il mio primo thriller. Non credevo di riuscirci e a volte ancora dubito di avercela fatta, ho scoperto di avere dei serbatoi segreti da cui attingere e dei quali ignoravo l’esistenza.

 

D Io sono un grandissimo appassionato di psicologia, credo che la caratterizzazione psicologica dei personaggi abbia un peso specifico enorme nella riuscita di un romanzo. Nel tuo lavoro, come ho scritto nella recensione, alla fine sembrano quasi non esserci buoni o cattivi (intesi nel senso cinematografico degli anni 80, dove il buono era immacolato e il cattivo senza speranza di redenzione). Parlaci del lavoro che hai fatto per creare queste anime “dannate”

 

R Vorrei dire, e questo farebbe di me una scrittrice degna di questo nome e anche di buon livello, che ho fatto delle ricerche approfondite in campo psicologico e che mi sono documentata con accuratezza e precisione ma, purtroppo, non è così. Mi sono lasciata guidare dall’istinto, dalle mie personalissime idee, da quello che avrei voluto leggere, da una specie di immedesimazione che ha portato a un risultato che non mi dispiace affatto.

 

D Si dice che lo scrittore racconti sempre sé stesso, dov’è Maria Laura in questa storia?

 

R Questa è davvero una bella domanda. Saprei dire dove sono negli altri due romanzi, con certezza, ma non riesco a trovare una posizione esatta che possa essere il mio “posto” in Mai stato figlio. Forse perché l’idea di identificarmi con uno qualsiasi dei protagonisti mi spaventa, non poco. Credo di aver amplificato a livello cinematografico le piccole paure che ognuno di noi vive ogni giorno, quindi anche le mie, forse ho solo usato una specie di lente di ingrandimento che allarga le immagini fino a distorcerle. Ecco, Maria Laura in questo thriller è la persona che tiene in mano la lente che a volte ingrandisce un po’ anche sé stessa.

 

 

D Il thriller non è il tuo genere, ma non hai mai letto nulla di questo filone? Ci sono degli autori che ti hanno appassionato e magari spinto a volerli ”emulare” cimentandoti in questa sfida?

 

R Buffo da dire, i thriller mi fanno paura. Sono certa di non averne mai letto uno. Ho visto qualche film, dei quali non ricordo neppure il titolo, premurandomi di coprirmi gli occhi nelle scene più inquietanti. Non sto facendo delle belle figure durante questa intervista, ma, ahimè, è la verità.

 

D Hai mai pensato a un finale diverso da quello del libro?

 

R Il finale non era pronto quando ho iniziato a scrivere, proprio perché ero convinta di dare vita a un racconto breve, lavoro totalmente diverso che si è formato strada facendo. Pian piano ho riordinato le idee, qualche volta ho ipotizzato conclusioni differenti ma quando ho capito qual era il punto in cui tutto sarebbe giustamente potuto convergere, si è illuminata la lampadina e non ho più cambiato idea.


 D Come mai la scelta di pubblicare questo libro con uno pseudonimo?


 R “Mai stato figlio” è molto lontano da “Il peccato più grande” e “Il vero colore dei camaleonti”. È diverso il genere, diverso il modo di scrivere, diverso l’intento, sono diversa anche io. Non volevo trarre in inganno i lettori, non volevo che chi ha apprezzato i miei precedenti lavori rimanesse sorpreso da questo passaggio così brusco, quindi ho creato uno pseudonimo per segnare un limite, per non confondere.

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