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venerdì 6 gennaio 2023

"Il Re ha parlato" di Francesco Calzoni, una recensione di Maria Laura De Luca.

 



Quando leggendo l’ultima parola, dell’ultima riga, dell’ultima pagina senti i brividi sulla schiena, allora è il libro giusto. Non credo che si possa chiedere di più a una lettura.

Ho letto “Il Re ha parlato” di Francesco Calzoni e credo che lo leggerò anche una seconda volta sperando di riprovare le stesse emozioni e forse anche qualcosa di più.

Una scrittura curata e gentile, un vero strumento, utilizzato in modo così sapiente da sentirne solo gli effetti sull’anima. Perché così deve essere, le parole non ti devono far inciampare, non ti si devono mettere davanti agli occhi, devono scorrere e lavorare dentro di te costruendo una storia di sentimenti e speranze e delusioni e sorprese, portandoti dentro te stesso ma in posti in cui non sei mai stato, senza che tu te ne renda conto.

Poche pagine, un piccolo diamante dalle mille sfaccettature.

Ho appezzato l’altalenarsi dei punti di vista, geniale. L’attenzione rimane sempre al massimo, la curiosità si accende ad ogni riga perché i sentimenti dei protagonisti sono i tuoi, ci sei dentro, fino al collo.

Sono diventata subito amica di Lorenzo, mi sono ritrovata tra i suoi pensieri, ho frugato nelle sue emozioni, sono cresciuta con lui e con lui ho sofferto e gioito. È un ragazzo di una bellezza difficile da capire, che mi ha abbagliato sin dal principio al punto che all’arrivo di Dedi quasi ne sono stata gelosa.

Saper intrecciare in modo così armonico due storie importanti è un’abilità che si apprezza durante tutto il corso del romanzo. Mi sono sentita accompagnata in un mondo, partecipe di due destini.

Non faccio spesso recensioni, ma quando scopro qualcosa di bello voglio dirlo a più persone possibile, bisogna condividere la bellezza. Una bellezza che ho respirato fino alla fine de “Il re ha parlato”, fino a quando mi ha tolto il fiato per qualche secondo, fino a quando ho capito che devo stare con gli occhi aperti perché Lorenzo e Dedi potrebbero essere qui, intorno a me.

 

Maria Laura De Luca

Carlo il bonsai intervista persone speciali: Maria Laura De Luca (M.J. Inkroads) ci parla di "Mai stato figlio".

 


D Partiamo dalla domanda più scontata: come mai, tu che hai sempre scritto tutt’altro genere, hai deciso di cimentarti in una forma di narrativa che nasconde non poche insidie? Qual è stata la notizia, avvenimento, idea, sogno (o quello che vuoi) che ha fatto nascere l’embrione del romanzo?

 

R È stata una sfida. Dopo i miei due primi lavori, guidati da sentimenti positivi e luminosi, un mio caro amico ha osato lanciare la sfida. Sono bastate poche parole: “Ma tu sapresti scrivere di un cattivo? Non ci sono mai dei personaggi veramente negativi nelle tue storie, ce la faresti?”. Amo le sfide, non lo nego. Ecco perché ho acceso subito il pc e ho iniziato a buttare già le prime righe di quello che credevo sarebbe stato un racconto breve e invece poi è diventato il mio primo thriller. Non credevo di riuscirci e a volte ancora dubito di avercela fatta, ho scoperto di avere dei serbatoi segreti da cui attingere e dei quali ignoravo l’esistenza.

 

D Io sono un grandissimo appassionato di psicologia, credo che la caratterizzazione psicologica dei personaggi abbia un peso specifico enorme nella riuscita di un romanzo. Nel tuo lavoro, come ho scritto nella recensione, alla fine sembrano quasi non esserci buoni o cattivi (intesi nel senso cinematografico degli anni 80, dove il buono era immacolato e il cattivo senza speranza di redenzione). Parlaci del lavoro che hai fatto per creare queste anime “dannate”

 

R Vorrei dire, e questo farebbe di me una scrittrice degna di questo nome e anche di buon livello, che ho fatto delle ricerche approfondite in campo psicologico e che mi sono documentata con accuratezza e precisione ma, purtroppo, non è così. Mi sono lasciata guidare dall’istinto, dalle mie personalissime idee, da quello che avrei voluto leggere, da una specie di immedesimazione che ha portato a un risultato che non mi dispiace affatto.

 

D Si dice che lo scrittore racconti sempre sé stesso, dov’è Maria Laura in questa storia?

 

R Questa è davvero una bella domanda. Saprei dire dove sono negli altri due romanzi, con certezza, ma non riesco a trovare una posizione esatta che possa essere il mio “posto” in Mai stato figlio. Forse perché l’idea di identificarmi con uno qualsiasi dei protagonisti mi spaventa, non poco. Credo di aver amplificato a livello cinematografico le piccole paure che ognuno di noi vive ogni giorno, quindi anche le mie, forse ho solo usato una specie di lente di ingrandimento che allarga le immagini fino a distorcerle. Ecco, Maria Laura in questo thriller è la persona che tiene in mano la lente che a volte ingrandisce un po’ anche sé stessa.

 

 

D Il thriller non è il tuo genere, ma non hai mai letto nulla di questo filone? Ci sono degli autori che ti hanno appassionato e magari spinto a volerli ”emulare” cimentandoti in questa sfida?

 

R Buffo da dire, i thriller mi fanno paura. Sono certa di non averne mai letto uno. Ho visto qualche film, dei quali non ricordo neppure il titolo, premurandomi di coprirmi gli occhi nelle scene più inquietanti. Non sto facendo delle belle figure durante questa intervista, ma, ahimè, è la verità.

 

D Hai mai pensato a un finale diverso da quello del libro?

 

R Il finale non era pronto quando ho iniziato a scrivere, proprio perché ero convinta di dare vita a un racconto breve, lavoro totalmente diverso che si è formato strada facendo. Pian piano ho riordinato le idee, qualche volta ho ipotizzato conclusioni differenti ma quando ho capito qual era il punto in cui tutto sarebbe giustamente potuto convergere, si è illuminata la lampadina e non ho più cambiato idea.


 D Come mai la scelta di pubblicare questo libro con uno pseudonimo?


 R “Mai stato figlio” è molto lontano da “Il peccato più grande” e “Il vero colore dei camaleonti”. È diverso il genere, diverso il modo di scrivere, diverso l’intento, sono diversa anche io. Non volevo trarre in inganno i lettori, non volevo che chi ha apprezzato i miei precedenti lavori rimanesse sorpreso da questo passaggio così brusco, quindi ho creato uno pseudonimo per segnare un limite, per non confondere.

mercoledì 4 gennaio 2023

Sull'onda dei ricordi: "Un'estate con la strega dell'ovest" di Kaho Nashiki


La strega dell'ovest abita in una casa immersa nelle campagne giapponesi, circondata da un giardino curato, un orto rigoglioso e sorvegliata da un maestoso bosco di cedri. E' lì che viene portata Mai, una ragazzina di tredici anni che si rifiuta di andare a scuola, preda delle insicurezze e dei turbamenti tipici della sua età. La madre, preoccupata per la sua salute, la manda dalla nonna sperando che la sua compagnia la aiuti a ritrovare un po' di stabilità e di fiducia in se stessa. Inizialmente Mai è diffidente nei confronti di questa signora inglese, trasferitasi in Giappone per amore e rimasta a vivere da sola nella casa che condivideva con il defunto marito, un misto di oriente e di occidente, incarnato da una donna elegante, curiosa, che sembra possedere davvero poteri magici. Col passare del tempo, Mai verrà sottoposta dalla nonna al cosiddetto "addestramento da strega", fatto di piccoli compiti, piccoli rituali quotidiani come alzarsi presto, prendere le uova dal pollaio, cucinare, sistemare la stanza, raccogliere le verdure dell'orto. Mai è riluttante e non capisce come mai la nonna la costringa a tali occupazioni ma ben presto si rende conto che in ogni gesto, in ogni parola della nonna si nasconde un pezzo di storia, di tradizione che la donna le sta svelando e tramandando poco a poco. Nasce così un legame fortissimo, ritrovato grazie a tutto quell'insieme di gesti e azioni che creano un'alchimia tra nonna e nipote, come un passaggio di testimone, come un incantesimo che si ripete trasportato dalle folate di vento che ogni tanto agitano le fronde dei cedri. In quella casa Mai troverà la propria dimensione, facendosi coraggio e ritrovando la fiducia in se stessa grazie ai poteri magici che la nonna le ha insegnato ad usare. Diventerà così "la strega dell'est". In fondo, chi sono le streghe? Sono donne coraggiose, che credono nelle proprie qualità, che lottano per affermare ciò che sono, sono donne che sanno vedere al di là di ciò che gli altri vedono, che sanno usare il potere della consapevolezza e del coraggio. Grazie all'addestramento della nonna, Mai riprenderà a vivere la propria vita con rinnovata energia, tornerà a casa e si confronterà di nuovo col mondo che tanto la spaventava armata dei suoi invincibili poteri da strega. Il legame instaurato con la nonna sarà qualcosa che la accompagnerà per sempre, che lascerà un segno indelebile in lei anche quando l'anima della strega dell'ovest si sarà liberata, tornando al luogo al quale è sempre appartenuta. 


Una graphic novel dal sapore dolce: "Heartstopper" di Alice Oseman

 


Quella che vi presento oggi è probabilmente la cosa più dolce e delicata che io abbia letto negli ultimi tempi. Avevo già puntato Heartstopper in libreria da un po', attirata dalle copertine (opera anch'esse dell'autrice) dal design semplice, colorato, che lasciavano presagire una trama romantica. Non l'ho comprato subito pensando che fosse troppo da adolescenti ma l'idea mi è rimasta in testa finché ho scoperto che Netflix ne aveva fatto una serie (disponibile adesso la prima stagione) e allora, dopo averla vista tutta in un giorno, sono tornata in libreria e mi sono accaparrata tutti e quattro i volumi (il quinto è in arrivo a Febbraio). Difficile non rimanere conquistati da Charlie e Nick, dalla purezza di questi due ragazzi che si innamorano con la spontaneità e la sincerità caratteristica della loro età e, ancor più difficile, non riuscire a stare dalla loro parte nel non facile cammino del coming-out, della resistenza al giudizio dei compagni di scuola, dell'orgoglio di volersi bene nel percorso attraverso la scoperta della propria sessualità. La tematica LGBTQ è trattata con la stessa delicatezza con cui sono tratteggiati i personaggi a cui spesso arrossiscono le guance, che sorridono timidi e che si emozionano per un bacio o una stretta di mano ma nel contempo è incisiva come il tratto spesso della penna della Oseman. Il design di Heartstopper è un chiaroscuro che si concentra sui personaggi principali, pochi sfondi, pochi particolari, molti dialoghi, un prodotto giovane e molto piacevole che, nel suo stile caratteristico, è perfetto così com'è, proprio come sono perfetti i due protagonisti. Nick è il capitano della squadra di rugby della scuola maschile Truham, popolarissimo, ammirato da tutti, di carattere buono ed espansivo, il classico modello di ragazzo etero muscoloso e ambito dalle ragazze. Charlie, invece, è timido, impacciato, magro e pacato, intrappolato in una relazione clandestina con il compagno di scuola Ben che vuole tenere a tutti i costi nascosta la loro storia. Essendo stato vittima di bullismo durante il primo anno a causa del coming-out, Charlie subisce la scelta di Ben e accetta di vederlo di nascosto in biblioteca o in sala musica anche se la cosa lo fa soffrire. Il caso vuole che Charlie e Nick si trovino di banco insieme e la scintilla scocca immediatamente, al primo sguardo, anche se Nick sulle prime non ne è assolutamente consapevole. L'amicizia iniziale tra i due, complice una forte simpatia e l'ingresso di Charlie nella squadra di rugby come riserva, progredisce e si evolve velocemente in qualcosa di più trasformandosi pian piano in un sentimento molto forte scoperto giorno dopo giorno. Nick inizia a prendere consapevolezza della propria bisessualità grazie a ciò che prova per Charlie, il quale lo accoglie con affetto mostrando spesso il proprio lato fragile, quello che più di ogni altro lo rende vero. La storia si svolge prevalentemente in ambito scolastico o domestico, tranne il viaggio a Parigi in gita, dipanandosi nella quotidianità fatta di amici (e meno amici), bulli, famiglie comprensive e coraggio. Apparentemente Heartstopper potrebbe sembrare qualcosa di "già visto", "già detto", nel panorama sconfinato delle tematiche dell'alterità sessuale, soprattutto tra i ragazzi, ma non è così. La storia di Nick e Charlie è una delle tante storie che si intrecciano ogni giorno, che fanno i conti con una società che, per quanto smart e tecnologica, fatica ad accettare ciò che, ancora, viene deriso e offeso perché considerato diverso soprattutto attraverso il cyberbullismo. Heartstopper insegna invece, che la normalità è volersi bene, innamorarsi, rispettarsi, scriversi, scoprirsi, indipendentemente dal genere sessuale e lo fa con la delicatezza delle foglie che ogni tanto svolazzano come a regalare una pennellata di nostalgia per i tempi in cui tutto è ancora possibile. Sarebbe scontato consigliarne la lettura ad un pubblico prevalentemente sedicenne o giù di lì, invece lo consiglio ai romantici, ai dubbiosi e a coloro che ancora pensano che sia sbagliato essere ciò che si è ed esserne orgogliosi, a qualsiasi età.

Enrica Zeppoloni

Un salto nel buio. "Mai stato figlio" di M.J. Inkroads, la nostra recensione.

 


Il buio ti assale subito, fin dalla prima pagina, a precisare che sarà una continua lotta tra noi, che annaspiamo tentando di tirar fuori la testa per prendere una boccata d’aria, e i flutti della mente che zavorrano inesorabili verso il fondo.

Eppure, in “Mai stato figlio” (Kdp 2021, pubblicato sotto lo psuedonimo di M.J. Inkroads), terza opera edita di Maria Laura De Luca (“Il peccato più grande” 2017 per Alter Ego e “Il vero colore dei camaleonti” 2020 per Kdp), tutto appare immediatamente chiaro. Conosciamo Frank (Francesco), cosa fa e ciò che è. Tuttavia, quella disturbante sensazione di malessere, fin dal principio ci fa dubitare della realtà che così chiara si dipana davanti ai nostri occhi, riga dopo riga.

Perché qui, di chiaro, non c’è nulla. Solo buio, ricordi che richiamano altro buio. Vite che si mischiano - per caso o destino, che il lettore scelga il vocabolo preferito - perché unite da antica amicizia e dolore, o per un fortuito scherzo del fato (appunto).

Ecco, il destino, altra parola chiave di tutta l’opera. Anzi riflessione chiave di tutto il romanzo, della vita di chiunque a pensarci bene. Che il nostro passato ci influenzi in maniera decisiva è chiaro a tutti, non è in discussione. Ma quanto e come possiamo affrancarci da questo? Dove sta il confine tra rivalsa e vendetta? Tra rivendicazione e abuso? Siamo sicuri che lottare per emanciparsi porti a un finale differente - non dico migliore o peggiore - rispetto all’accettazione passiva del “quel che è stato, è stato”?

Con la sua scrittura pulita e incisiva, Maria Laura è bravissima nel rendere le compulsioni ossessive del protagonista e la precarietà di chi gli ruota intorno, così brava da, come già scritto, in certi passaggi “disturbare”. Che poi, trattandosi di un thriller/noir, è il miglior complimento possibile. Ogni scena, ogni riflessione, ci riporta a interrogarci su quanto appena detto.

Pagina dopo pagina, il dubbio abbraccia ogni personaggio della storia, a cominciare dalla “Bionda”, una tentazione troppo forte, o un angelo redentore, che il protagonista si ritrova praticamente in casa. È un viaggio attraverso e assieme alla mente di Frank, dei suoi ragionamenti, delle sue paure, dei suoi slanci quando è finalmente convinto di aver trovato - a modo suo - un riscatto. È un viaggio nel buio, e nel buio, si sa, ogni coordinata va perduta. Però avvince, non permette ad alcuno di staccarsi dal suo abbraccio, e dunque le pagine scorrono veloci, mentre cerchiamo di anticipare l’autrice e scoprire come tutti i fili alla fine si ricongiungeranno.

Siamo presi da questa lotta contro il tempo, da un’impresa che pare quasi impossibile, e alla fine, quando tutto sembra andare a posto… Beh il buio non finisce mai, ormai dovremmo averlo capito.

Riflettendoci bene, per quanto possa sembrare assurdo, non ci sono personaggi veramente negativi, forse uno, ma solo anime dannate da una vita che non hanno scelto.

Per concludere volevo solo far presente che pure io, che mi chiamo Francesco come il protagonista, trovata la posizione giusta sul divano è veramente difficile farmi alzare. Che significa? Leggete il libro!

martedì 27 dicembre 2022

Interviste da altri mondi: Marco Bucci ci racconta "Saetta Rossa".


Qualche tempo fa avevamo pubblicato una recensione alla graphic novel "Saetta Rossa" scritta da Marco Bucci e illustrata da Riccardo Atzeni, libro che ci ha coinvolto e colpito in modo particolare. Abbiamo fatto qualche domanda all'autore Marco Bucci che, gentilmente, ci ha fatto l'onore di risponderci. E' stata una bellissima sorpresa e siamo felici di condividerla con voi tutti:

D: Iniziamo da lui. Il 10 Gennaio 2016 è stata una data che ha segnato le vite di molti, io sono rimasta davanti al cellulare un po' come Samuel, attonita. Mi rivedo molto in lui, in quel momento. David Bowie, l’artista, la rock star, l’uomo delle stelle che alle stelle ha fatto ritorno, che ad un tratto non era più “qui”. Non è facile parlare del suo genio, tanto complessa e determinante è stata la sua personalità e la sua opera, così immensa da regalargli l’immortalità. Immagino che significhi molto anche per te. Lo hai scelto come filo conduttore di Saetta Rossa, è il punto di partenza o il punto di arrivo?

La voce di David ha accompagnato gran parte della mia vita. All’inizio era una presenza disincarnata, fatta di sola musica (grazie ai miei genitori). Poi da ragazzino ho capito chi fosse, che faccia avesse, trovandolo come interprete in Labyrinth. Non ho faticato a immaginare un futuro popolato dalla sua icona. Tanto che è possibile trovarlo in tutte le sue identità un po’ ovunque, sullo sfondo della vicenda che raccontiamo. Quindi ti risponderei che David Bowie in Saetta Rossa è il futuro stesso. Un punto di arrivo nel processo di autodeterminazione ed eterna reincarnazione. Non importa chi sei ma chi decidi di essere.

 

D: Un altro filo conduttore di Saetta Rossa è, senza dubbio, l’amore, nelle sue mille sfaccettature. E’ un sentimento universale che trascende lo spazio e il tempo ed è un potente collante in grado di unire le vite delle persone, questo è ciò che ho percepito leggendo le pagine della tua graphic novel. E’ questa la tua concezione di amore? Quanto può essere importante nell’evoluzione di noi stessi e del mondo?

Prima di rispondere devo precisare che non definirei l’amore romantico come un’esperienza universalmente necessaria. Non lo è per tutti. Ma l’amore è una forza che può unire le persone a prescindere dai loro sogni, romantici o meno. Abbiamo un disperato bisogno di sentirci vicini a qualcuno. E nel mio caso io estendo questo sentimento alla mia famiglia queer. Creature meravigliose che mi hanno permesso di essere un narratore libero e una persona felice. È sicuramente una delle forze più potenti che conosco ma sulla quale non mi trovo spesso a scrivere storie. Saetta Rossa è un’eccezione.

D: E’ interessante il sistema in cui viene catapultato Samuel, è così che vedi il futuro? C’è una particolare concezione di democrazia nel mondo che descrivi in Saetta Rossa, è l’evoluzione che auspichi per il domani?

Sicuramente auspico che il mondo venga sollevato, come in quel futuro, dalla totalità delle sue afflizioni. Ma insieme a Riccardo abbiamo cercato di immaginare il “prezzo” da pagare per raggiungere questo traguardo. Tutto sommato non credo sia eccessivo. Io ci vivrei.

D: Samuel, ad un certo punto, decide si “spegnersi” e scollegarsi dal sistema al quale si trova ad appartenere nel futuro. E’ una forte dichiarazione di identità, come mai questo gesto?

Samuel è una persona che sta cercando se stessa dopo che ha perso ogni cosa (al di fuori di se stessa). Rifiuta questo futuro frastornante, iperconnesso e costantemente in festa per trovare una direzione. Scende dalla giostra, abbandona il dance floor, esce dal locale. Solo allora capisce cosa sia davvero importante per lui. Nel silenzio torna a sentire la musica. In quella parte, in effetti, sono stato molto romantico.

D: Ultima, ma non in ordine di importanza, domanda. Le illustrazioni. Sono come la magia che incarna le tue parole, rappresentano alla perfezione i concetti, li traspongono su carta creando un insieme veramente coinvolgente. Come è nata questa collaborazione tra te e Riccardo? L’alchimia tra parole e disegni è davvero molto importante, difficile non restarne impressionati. Come nasce un sodalizio tanto forte e ben riuscito?

Ho visto un acquerello appeso a una parete sopra al divano di un mio amico. Gli ho chiesto chi fosse l’autore perché volevo assolutamente lavorare con lui. Poche settimane dopo io e Riccardo ci sentivamo regolarmente al telefono. Siamo diventati amici come capita di rado da adulti, nonostante fossimo uno a Bologna e l’altro a Cagliari. È difficile non innamorarsi del suo lavoro e della sua immaginazione. Per me è stato un colpo di fulmine. Non saprei davvero come altro definirlo. Ecco perché stiamo già lavorando a una nuova storia. Non riusciamo a fermarci, proprio come le persone del futuro che abbiamo immaginato.


domenica 18 dicembre 2022

Canzoni evocative. Robert Johnson "Sweet Home Chicago".

 Carlo ascolta e si tatua cose: Robert Johnson

Il diavolo è sempre stato al top, diciamocelo. Purtroppo. L'animo umano non ha bisogno di troppi stimoli per cedere al lato oscuro. È sempre stato così, e sempre lo sarà. Ma anche il principe della notte subisce il fascino dell'ingegno umano. E fu così che, a forza di ascoltare quei ritmi ipnotici, che prolificano nelle vibrazioni basse della pancia - perfetto contraltare delle lodi a Dio dei gospel domenicali -, il diavolo si innamorò del blues. Fu così che comprese che c'era un modo per guadagnare appeal, quasi di emanciparsi dalla sua stessa figura. Della vita e leggenda di Robert Johnson hanno scritto in tantissimi, e in mille modi diversi. Su come fosse comunissimo accompagnatore di musicisti ben più dotati, della sua sparizione durata un anno e del suo ritorno, di quando cioè era diventato talmente bravo da fare con una mano sia la linea della chitarra che quella del basso. Si è favoleggiato dei suoi incontri nei crocicchi e di un patto: sete anni di gloria in cambio della sua anima; delle donne che aveva in ogni bettola in cui suonava, dei mariti cornuti e furiosi, e di quella bottiglia già aperta dalla quale non avrebbe mai dovuto bere. È indubbiamente la storia più affascinante del rock, la madre di tutte le leggende nere. Ma a me piace ribaltarla, pensare che un giorno il diavolo si sia trovato davanti un ragazzo e vi abbia visto un talento talmente eccelso - se pur in embrione - da rimanerne affascinato, innamorato. Talmente irretito da quei suoni da decidere che anche il principe degli inferi doveva suonare blues. Non è stato Robert Johnson a chiedere alcun dono, ma Satana in persona a pregarlo di legare la propria aurea all'immortalità del blues di quel giovanotto dalla voce di donna. Vi sembrerà una storia immorale, forse è così, ma che vi piaccia o no ha fatto scop*re più questa indefinita paura del proibito - che scioglie le remore delle ragazze e pompa i giovanotti - che qualsivoglia power ballad strappalacrime.