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giovedì 24 novembre 2022

Carlo il bonsai legge cose: Bambi, storia di una metamorfosi di Emiliano Reali

 



Bambi, lo si intuisce dal titolo stesso, narra le vicende e l’evoluzione di Giacomo, un ragazzo che parte - scappa - dal suo paese natale (Bassano del Grappa) in direzione Roma, per trovare la sua dimensione a trecentosessanta gradi. Con lui la fidanzata dell’epoca, Luana, anch’essa in fuga dalla realtà opprimente della provincia.

Nella capitale Giacomo comincerà a sentirsi finalmente libero, capace di poter seguire ciò che è sempre stato.

Questo è l’inizio di una meravigliosa storia corale, dove Giacomo/Bambi è il centro attorno a cui gravitano o a cui si ricongiungono molti dei personaggi che caratterizzano il romanzo. Una storia che sconfina in tanti generi, distanti anni luce tra di loro, ma tutti legati da un unico filo sottile che rende, questo susseguirsi di continui ribaltamenti, una cosa assolutamente naturale.

Emiliano Reali ha giustamente suddiviso l’opera in tre capitoli: Bruco, Crisalide e Farfalla; a rappresentare la più famosa e bella evoluzione che esiste in natura. Ma non è solo Giacomo a compiere il suo cambiamento esteriore e interiore. Ogni persona che lo circonda si troverà, presto o tardi, volente o nolente, a fare i conti con sé stessa e con quello che le pulsa dentro.

Perché è talmente dirompente la necessità di Bambi di “venire al mondo”, che travolge - ferisce - chiunque le si avvicini, o cerchi di farla ormeggiare a riva. Emiliano è bravissimo, con la sua sensibilità, a dar voce a tutte le anime che danzano in queste pagine, riuscendo con grande semplicità e maestria a farci affezionare a ognuna di esse; tant’è che spesso Bambi può sembrare una stronza egoista: ma è solo un nostro errore di giudizio, o meglio una “scusa” che vendiamo per un attimo a noi stessi.

Sì, “scusa”, perché ragionandoci bene, alla fine Bambi è la storia di ognuno di noi; perché tutti noi siamo (siamo stati) alla continua ricerca del nostro posto nel mondo, della nostra identità. E tutti noi - mentre sgomitavamo per affermarci -, abbiamo a nostra volta ferito qualcuno di caro. Ecco, dire che Bambi è egoista ci dispensa dal ricordare di quella volta che anche noi… che poi nemmeno abbiamo mai chiesto scusa…

La scrittura di Emiliano muta a seconda della situazione, passando da descrizioni molto asciutte e crude, che tanto ricordano i ragazzi di vita di Pasolini, a prose più calde e piene di passione o tristezza, quando è l’animo del personaggio che va messo in primo piano. In ogni caso, è sempre efficace, cosa fondamentale per creare un grande romanzo corale, nel quale Bambi sembra risucchiare tutti come un buco nero, per poi sputarli lontano, salvo poi calamitarli nuovamente.

Bambi è un viaggio che esplora e disvela senza preconcetti il mondo della transessualità, della vita che tante persone sono “obbligate” a portare avanti causa ignoranza umana e leggi medievali. Ma non solo. Come detto questo è un enorme spettacolo dove sul palco ballano tutte le nostre paure, i nostri slanci, i nostri desideri di rivalsa. La nostra paura di amare e di essere amati.

Dove diventiamo tutt3 meraviglios3 nel momento stesso in cui ci ritroviamo, in cui ci accettiamo, smettiamo di nasconderci e proviamo a prendere ciò che vogliamo. Perché vivere diversamente non è proprio possibile.

Che poi è il miglior lieto fine possibile, in un mondo pieno di paure e sensi di colpa.

domenica 20 novembre 2022

Carlo il bonsai si tinge di giallo. "La trasfigurazione mediatica di Chiara Maffei", secondo libro di Francesco Calzoni.

 


In una mattina di Novembre, il commissario Marchese viene svegliato da una telefonata gelida quanto l’ondata di freddo che investito la città di Perugia. In un parco mal frequentato è stato rinvenuto il cadavere di una giovane ragazza brutalmente uccisa. Recatosi sul posto, il commissario intuirà subito che il caso che gli si para davanti, oltre ad essere un macabro spettacolo, non sarà da facile soluzione. La breve vita di Chiara Maffei, infatti, inizialmente non rivela nulla che possa suggerire agli investigatori il motivo di una morte inflitta con tanta efferatezza: giovane e molto bella, proveniente da una famiglia non agiata ma rispettabile e unita, studentessa laureanda in lingue, lavora saltuariamente per una ditta di catering per non pesare troppo sui genitori. Le voci, però, corrono in fretta e, nonostante la riservatezza e le precauzioni necessarie, il passato di Chiara sembra avere un lato oscuro. Mentre le indagini prendono il via, seguendo varie piste, tutte però senza un reale mordente, parte il tam-tam mediatico ed iniziano a circolare dicerie e teorie legate alla vita di Chiara che la trasformano, in breve tempo, da sfortunata vittima a capro espiatorio, al fine di svelare una vita segreta celata tra i muri medievali e i vicoli suggestivi del capoluogo umbro. Sui social, nei Tg nazionali e, soprattutto nelle trasmissioni televisive spazzatura, fin da subito si inizia a parlare insistentemente di festini, droga, belle ragazze come Chiara che, a pagamento, intratterrebbero relazioni con rampolli di famiglie benestanti, iniziano a spuntare alibi e testimoni, pusher e presunti amici che hanno l’effetto di creare un pandemonio mediatico che sposta l’attenzione dal fatto accaduto a tutto un contorno che nulla ha a che fare con la dignità che si dovrebbe riservare ad una giovane ragazza uccisa. In tutto questo trambusto prosegue il lavoro senza sosta di Marchese e del suo team che si trova a dover fare a gara con il caos che il caso ha sollevato per trovare la soluzione che metta a tacere la follia della gente. Il commissario dovrà affidarsi al proprio intuito, vagliare numerose ipotesi e tener fede a sé stesso, per non lasciare che la correttezza delle indagini venga compromessa. Chi era veramente Chiara Maffei? Quali sono le voci da ascoltare in un coro chiassoso in cui anche le persone più improbabili sembrano avere la soluzione del caso? Riuscirà il commissario a dipanare la matassa inaspettatamente creatasi attorno alla figura della ragazza? Ambientato in una città meno provinciale di quanto non si pensi, con i suoi panorami mozzafiato, la sua eredità storica e il presente in crescita veloce e multietnica, “La trasfigurazione mediatica di Chiara Maffei” è un libro da leggere tutto d’un fiato, che tiene il lettore incollato alle pagine dall’inizio alla fine, facendolo supporre, immaginare, ipotizzare, proprio come vuole la regola del buon racconto giallo. Un libro dal finale tutt’altro che scontato che offre, tra le righe, ben più di uno spunto di riflessione su molte delle situazioni che viviamo oggi perché tutti noi siamo, in fondo, un po' vittime di una società che, a volte, si fa più spietata del peggiore degli assassini.

Enrica Zeppoloni

martedì 15 novembre 2022

Carlo il bonsai viaggiatore e sognatore (ma anche curioso). Skellig Michael e la linea di San Michele.


Ci sono luoghi nel mondo che emanano un'energia particolare. Credere o non credere è di ben poco conto, si sente, e basta. Terra rinomata per il suo antichissimo bagaglio culturale fatto di tradizioni forti, guerrieri, onore, ma anche di tutta quella parte che, da sempre, alimenta i racconti e le fantasie (ma saranno solo fantasie?) di cantori e sognatori vecchi e nuovi. La magia, i druidi, le sacerdotesse, i riti della natura, le foreste incantate abitate da elfi e draghi, fino a sconfinare nell' esoterismo, nella ricerca della mitica Avalon e, perché no, del pentolone d'oro custodito in fondo all'arcobaleno dai dispettosi Leprecauni. Skellig Michael è una delle due isole irlandesi situate al largo della costa della contea di Kerry. Il suo nome, in gaelico, significa "Roccia di Michele", proprio quel Michele, il Santo che, con un colpo di spada, si dice che ricacciò Satana all'inferno. Skellig Michael è un isolotto prevalentemente roccioso patrimonio dell'Unesco, poco frequentato perché oggetto di restrizioni governative in materia di turismo e perché fuori dalle rotte canoniche di coloro che si recano in Irlanda. Non per tutti è così. Studiandone la storia e, soprattutto la posizione, si scopre che questo isolotto ha molto da raccontare. Oltre che essere stata teatro, recentemente, di molte scene di Star Wars "L'ultimo Jedi" e di altri due film della saga, ospita una rarissima specie di pulcinella di mare che nidifica solo lì e un monastero risalente al 588 di cui restano i ruderi fatti della classica pietra grigia murata a secco al quale si accede attraverso una impervia scalinata in via, purtroppo, di degrado, simbolo del fervente ascetismo che caratterizzava i monaci irlandesi che si ritiravano in preghiera in questo luogo sferzato dai venti e dalla salsedine. La leggenda narra che, proprio in quel luogo, San Patrizio ebbe la visione di San Michele arcangelo che gli chiese di aiutarlo a liberare l'Irlanda dai rettili e dalle forze del male. 



Da Skellig Michael parte la misteriosa Linea di San Michele, retta immaginaria che, passando per mezza Europa, arriva fino in Israele e conta, lungo il suo passaggio, innumerevoli luoghi legati alla figura di San Michele e sette dei principali monasteri della cristianità tra cui Mont Saint Michel in Francia, la Sacra di San Michele in Val di Susa e il monastero del Carmelo ad Haifa, in Israele, dove la linea termina. Storia e leggenda legano questa linea alla vita del santo, sette monasteri come sette sono i Chakra, ovvero i punti energetici del nostro corpo, energia bianca, buona e purificatrice. Ogni monastero, anche quelli minori, le chiese. i cimiteri, i dolmen, i menhir, portano tracce e riferimenti del passaggio della linea di San Michele che, con un colpo di spada, liberò il mondo dal male più grande rimandandolo all'inferno. Il viaggio parte da questo luogo mistico e incantato in uno dei posti più belli che si possano immaginare. Nel programmare il prossimo viaggio in Irlanda, non dimenticate di includere Skellig Michael e la sua storia misteriosa e affascinante.





Carlo il poeta bonsai. "Gratto la superficie"

 

Gratto solo la superficie

Tra facce tutte uguali

Dentro un assurdo carcere senza sbarre

Mura di pensieri identici

Stessa paura, obbligo, peccato.

Vorrei andare oltre il velo

Per conoscere davvero,

Essere consolatorio, rallegrarti il cuore

Cancellare paura, obbligo, peccato.

Ma per riuscirci devo essere il primo

A mettermi a nudo, per ciò che sono

Con tutte quelle peculiarità

Delle quali a volte mi vanto,

Delle quali a volte mi vergogno,

Dietro le quali spesso mi nascondo.

Per evitare di raccontare

Quanto è stata lunga e dura la strada

E quanto freddo ho preso

Per togliere dalla mente

Quelle che ora sono le tue paure, obblighi, peccati.

Errore dopo errore,

Botta dopo botta,

Sbronza dopo sbronza,

Sogno dopo sogno,

Una cosa l'ho capita: voglio essere io,

Senza timori

Perché fingere di non sentire niente

Non ti protegge dal dolore

Perché se sei sicuro di quello che percepisci

Non esistono paura, obbligo, peccato.

L'unica vera colpa che ti segna l'anima

È farti dire quale sia la tua felicità

Rinunciare a quella via che vorresti prendere.

Perché paura, obbligo, peccato

Sono la tua prigione

Solo se glielo permetti. 

(Francesco Calzoni)

Carlo ha storie che gli hanno toccato il cuore. Si racconta così. San Valentino.

 

Variazione sul tema.

E venne San Valentino. Noemi era tornata a casa dai suoi perché il padre non stava bene e così decisi di andarmene ad un concerto in centro. Me ne stavo tornando verso la macchina quando scoppiò un temporale. La pioggia mi piace: nasconde le lacrime, monda dai peccati ed è l'unica cosa che ti abbraccia quando sei solo. Scendevo per le scalette che dal centro storico portano al parcheggio quando vidi nuovamente quell'angelo. Veniva in direzione opposta alla mia e piangeva. Piangeva di un pianto impossibile da non amare. Non faceva nulla per nascondere le lacrime ma nonostante i singhiozzi manteneva un'eleganza innata (d'altra parte era un angelo), quasi si preoccupasse di non rovinare la festa a tutti gli innamorati con quel suo pianto. Ed era impossibile sentirsi infastiditi da quelle lacrime, commossi fino alla disperazione sì, ma infastiditi mai. La presi per una mano, lei alzò la testa e mi vide.       

- Questa volta sono in tempo.

- No, ormai no.

La accompagnai a casa e aspettai di vederla entrare nel portone. Non avevamo aperto bocca durante il viaggio. Come sempre le frasi buone mi sarebbero venute una volta tomato a casa. Allora, visto che le frasi buone proprio non volevano venire fuori, decisi di non pensare. Uscii dalla macchina e le corsi incontro. Le strinsi il volto tra le mani incollandole le mie labbra alle sue, mentre la pioggia ci inzuppava e si infilava tra i vestiti, quasi che volesse partecipare a quel primitivo trasporto. A volte l'amore non c'entra nulla. A volte è solo questione di fermare l'attimo, di voler scattare quella fotografia. Solo per avere un frammento di memoria da raccontare a noi stessi finché non saremo riusciti a metabolizzarlo. A volte non è fare l'amore, è mangiarsi. Voracemente, rapidamente. E non è la passione a guidarci, ma la consapevolezza che anche questa storia è soggetta alle regole del tempo e che come tutto finirà. Non le chiesi mai cosa l'avesse fatta piangere a Natale e a San Valentino. Sapevo che doveva essere una cosa tremenda per essere riuscita a spazzare via il sorriso più dolce e sincero del mondo. Avevo paura di saperlo e temevo di non essere in grado di curare quelle ferite. Quando lei decise di raccontarmelo seppi che i fantasmi erano passati, e che io stesso ero pronto a renderla felice e a non lasciarla più.

Francesco Calzoni

mercoledì 9 novembre 2022

Carlo il Bonsai ha un grande mito: David Bowie. Qui la recensione di "Moonage Daydream", film documentario di Brett Morgen.



"Keep your ‘lectric eye on me babe
Put your ray gun to my head
Press your space face close to mine, love
Freak out in a moonage daydream oh yeah!"


David Bowie nasceva a Brixton l'8 Gennaio 1947 o forse è stato sempre qui, chi può saperlo davvero? Leggenda, mito, uomo dello spazio, cosa non si è detto di lui? Icona di stile, rockstar, precursore dei tempi, ispirazione per la sua generazione e molto oltre, pioniere della libertà di genere e di espressione, maliziosamente ambiguo, forse un alieno, Ziggy Stardust. Ricoperto di polvere di stelle e lustrini l'immenso Duca bianco viene presentato in questo film/documentario di Brett Morgen in molte delle sue (impossibile afferrarle tutte) sfaccettature. Moonage Daydream è un omaggio appassionato che mostra, tra filmati di repertorio, interviste, riprese dai live di quegli anni, momenti della vita di Bowie, toccando anche quelli meno noti, con il sottofondo costante della musica glam rock che lo ha reso così famoso in tutto il mondo. Ci porta a Berlino, negli anni del muro, nel Giappone che tanto lo affascinò, ci porta negli anni folli americani, apre lo sguardo sui suoi quadri, mostrandoci la sua attività di creativo a 360 gradi. Si apre con la luna, "Hello Spaceboy" dice la gente, si chiude con la luna "Space Oddity", in bianco e nero, perché la morte ruba i colori, non i ricordi. Mentre ci gettiamo nel vortice dei mille cambiamenti, le rivoluzioni, le involuzioni, i colori, le note, gli applausi e il delirio del pubblico che caratterizzarono la vita di questo artista sempre volto al cambiamento, tagliente come una saetta e scintillante come un fuoco d'artificio, siamo quasi storditi e la sala di un cinema sembra diventare un enorme palcoscenico che tenta di racchiudere tutto ciò che Ziggy portò da Marte, un salto nello spazio, nel pianeta Bowie. La storia viene raccontata in modo non cronologico, una realizzazione all'apparenza discontinua, che a volte ripropone gli stessi fotogrammi, sorrisi, parole, frammenti, ma che rende benissimo l'idea del mondo complesso che vuole rappresentare, quello di un genio, discontinuo, incostante, sempre fedele a sé stesso, un film fuori dagli schemi, che regala un momento in rosa quando parla dell'amore per la moglie Iman. "Non ho avuto scampo" rivela David a tal proposito sorridendo, e non lo abbiamo avuto nemmeno noi. Farsi rapire da David Bowie è una esperienza meravigliosa, semplicemente, e questo documentario è una imperdibile perla in una collana infinita di gemme preziose. 

Dovunque tu sia continua a splendere, Ziggy Stardust. Qui sulla Terra hai lasciato un enorme vuoto. 

Nelle puntate precedenti....

 


 

Sono ancora qui a scrivere stupirmi con il quaderno ormai a metà, mentre penso come questa malinconia folle e benedetta, sia la compagna più fedele mai avuta. Non c’è mestizia nel saperla altrove, solo una grande spazio bianco da riempire con e parole, con le quali disegnarla da zero, cambiando magari il corso alla storia, agli errori, ai sentimenti. Parole con le quali avvicinarla, facendole sentire quanto siamo simili, dicono che cuori infranti non conoscono legge.

Credevo di avere tutto, di essere inattaccabile, al di sopra dei colpi della vita, ma ho sbattuto contro la realtà e non ci sono fasciature per quel tipo di ferite. Ho urlato, pianto, bruciato il cielo, maledetto gli angeli e l’amore.

Improvvisamente non sapevo dove mi trovassi. La sensazione era strana, avrei dovuto essere terrorizzato e in parte lo ero, ma allo stesso temo c’era una sorta di rassegnazione nell’abbandonarsi a questa situazione che la rendeva sopportabile. Potevo essere nel mio portico, seduto a quel tavolo di resina e olivo che tanti complimenti ha riscosso, così come seduto lungo il fiume della vita di Siddharta o dentro al Pency Prep College di Holden Caulield, non sarebbe cambiato nulla. Come ben poca differenza ci sarebbe stata se fossi stato tra il trovarsi a Orano tra i topi appestati o nel kolchoz Terminus Radioso, prigioniero di uno sciamano folle. Una prigione è sempre una prigione, anche se cambi le parole. E poi c’era lui, il mio guardiano, quello che non mi perdeva mai di vista, quello di cui sentivo il calore dello sguardo sulla nuca anche quando credevo fosse distratto. Ma chi era? Il Grande Puffo, Billy the Kid, Don Chisciotte, una caricatura mal riuscita del mio ego, della mia coscienza, della mia saggezza. Era la parte più vera di me che mi parlava.

Non sapevo dove fossi, né esattamente con chi, una foglia ubriaca in balia dei cavalli in corsa degli Stones, sommerso da un mare psichedelico dei rimi Pink Floyd, perso nell’universo infinito galleggiando col Duca Bianco, costretto in quella inquietante necessità di essere felice ad ogni costo da mostrare con un sorriso, come cantava il Blasco.

Nel momento più buio di tutti la voce del mio guardiano iniziò a parlarmi, clama, decisa, profonda, impossibile da non ascoltare. Mi inchiodava alla verità, a quello che ormai non sentivo più, il calore di un amore regolare o la fiamma clandestina che illumina la notte. Erano tutti muri buoni per nascondermi, ma ad un certo punto basta così. Perché c’è differenza tra ciò che si vuole realmente e quello a cui si decide di credere, per via di quel tormento interiore che ti mangia un giorno dopo l’altro. Ero in prigione da innocente, sì da innocente, perché non c’è peccato nel cercare la propria personale gioia. E mi ci ero messo da solo. Ho strisciato sui gomiti, sulle ginocchia, sanguinando da ogni poro della pelle, azzerando tutte le mie certezze, ma alzando la testa con la certezza che non l’avrei più abbassata. Dissi addio alla necessità di dover dare un nome alle cose, di pensare a ciò che sarà perché così si fa, caricarsi di aspettative è un altro modo di definire una galera. Sono passato attraverso selve di rovi che hanno dilaniato prima le carni e poi la mia anima, ma sono arrivato a capire ciò di cui avevo bisogno. Amerò e basta, dicendo sempre la verità, farà male lo stesso, ma la mia anima sarà libera come quando avevo tre anni.

E così mi ritrovo qui, felice come un bambino, con il quaderno ormai a metà, per imbrattarlo ancora con i miei pensieri che toccheranno nel profondo e renderanno liete le persone a cui tengo.

Una poesia per un sorriso, mi pare uno scambio equo, mi pare un bel modo di vivere.


Racconto inedito breve di Francesco Calzoni

martedì 8 novembre 2022


Merlot 50%, Ciliegiolo 20%, San Giovese 30%

 

Finalmente un attimo di riposo. Tutta la casa dorme e te ne stai con le gambe stese sul divano, completamente avvolta da una calma soddisfatta e da un silenzio rassicurante. Avere dodici anni o quasi quaranta adesso cambia poco. Giri la testa e osservi le due dita di rosso rimaste nel bicchiere, una bolla luminosa rosso rubino ti colpisce in pena faccia, lo sai che è solamente la luce della lampada che passando attraverso quel misto di Merlot, Ciliegiolo e San Giovese, arriva dritta ai tuoi occhi, ma per qualche tuo motivo adesso senti che sa una sorta di messaggio.

La lingua morbida passa sul palato, catturando particelle di gusto dell’ultimo sorso, riaffiorano nella mente sentori di more, l’idea di un angolo di bosco inaccessibile a tutti tranne che a te, dove ti puoi stendere e riposare, nascosta anche agli affetti più cari. Perché gli vuoi bene, ma ogni tanto hai bisogno di essere solo te stessa. Così osservi l’ultimo goccio da bere, così come guarderesti le labbra di un amante mentre valuti indecisa, sospesa tra desiderio e peccato, se dargli ancora un bacio. Prima che la tua mente se lo dimentichi, almeno fino a domattina.

Ti culli in questo stato indefinito che si avvicina quasi alla soddisfazione, quando l’occhio cade (o forse si sposta per autonoma volontà) sul cellulare. Lo schermo è nero, come dovrebbe esserlo in una serata tranquilla in cui hai finalmente due ore per te, eppure un’ombra non ti lascia serena. Non è la paura che vibri alla presenza di qualcuno, non è il timore di dover inventare scuse. Quello che ti frega è il non saper dare un nome alla cosa. Non vorresti pensarci, ti sei quasi sbronzata per questo, eppure gli occhi fanno sempre la stessa strada e ti riportano lì, perché lo sai che se arriva qualcosa è questo il momento. Sforzi la mente per focalizzarla altrove, passi nuovamente la lingua sul palato, lamponi e more tentano di riportarti in quella selva dove andavi con i tuoi genitori da piccola, sperando di vedere un lupo o un cervo. Rifletti su quello che tante volte hai detto alle tue amiche, che va seguito ciò che si sente, perché altrimenti non è vita, perché vivere di rimpianti è una lunga e straziante eutanasia.

Lamponi, more, odore di terra umida si mischiano nella tua testa a quei consigli che se elargiti agli altri paiono sempre facili da seguire, massime filosofiche perfette, che racchiudono tutta la verità del mondo, ma che vacillano non appena le applichiamo a noi stessi.

Arriva il messaggio e per un attimo il dolce del Ciliegiolo sparisce dalla tua bocca. Dovresti essere pronta a rimbalzare certe attenzioni, dovresti, ma un angolo della tua testa ti lascia in sospeso, con un dubbio che non se ne va. Così leggi, ascolti, ponderi la risposta. Perché sei felice che il messaggio sia arrivato, inutile fare finta, ma in qualche modo ti mette a disagio. Alla fine rispondi, per come ti viene quella sera, lasciando irrisolto l’eterno quesito se vuoi vedere dove ti porterà ciò che senti o se preferisci restare nella zona che conosci.

Ora quelle due dita di rosso decidi di berle, serri le labbra per strappare l’ultimo istante di piacere tannico e per fingere che il labbro superiore sia il suo, finalmente serrato al tuo. Poi ti senti scema, quindi lo desideri con più ardore, un attimo dopo ancora scema e di nuovo più appassionata che mai. Ti rendi conto che sopra ciò che desideri c’è un cerotto e che tutto quello che ti frena è la paura di tirarlo via. Non temi il dolore, ma quello che può venirne fuori dopo. Così aspetti e ti senti colpevole nel farlo, speri che lui trovi la forza per fare quello che vuoi ma non ammetti neanche a te stessa e ti auguri che quando accadrà non ti nasconderai dietro una scusa.

Il bicchiere è vuoto e il letto è il solo finale anche per questa notte. In testa ti gira ancora l’ultima canzone e lo mandi al diavolo perché non è capace dell’ultimo passo, ma alla fine ti conviene propri così. Tra i denti stringi l’interno delle guance e l’ultimo ricordo del Merlot si perde tra una strofa e un pensiero furtivo.

Realizzi di esserti costruita una gabbia più piccola dentro quella enorme nella quale questo virus ci ha fatto precipitare e la cosa strana è che questo è il solo luogo dove ti senti libera.


Racconto inedito breve di Francesco Calzoni.

giovedì 3 novembre 2022

Carlo guarda cose: "L'incredibile storia dell'isola delle rose"


 


“- Che cosa può fare per lei, signor Rosa, il Consiglio d'Europa?

- Salvare la mia isola.

- Lei ha comprato un'isola?

- No. L'ho fatta.”

 

Sydney Sibilia, classe 1981, ha attualmente al suo attivo soltanto due film ma è come se ne avesse realizzati il triplo. “Smetto quando voglio” e “L’incredibile storia dell’isola delle rose” sono due perle assolutamente rare e oggi Carlo il bonsai condivide alcune riflessioni sul secondo titolo, uscito nel 2020. La trama prende spunto da un progetto folle, utopistico degli anni ‘60, che inaspettatamente prese talmente tanto piede che la gente iniziò a crederci veramente. L’isola delle rose diventò in breve tempo un fenomeno culturale, di massa, anche se rimasto nella nicchia per la maggior parte di coloro che sono venuti dopo. La piattaforma marittima (ovvero l’isola) fu realmente fondata dall’ingegner Giorgio Rosa nel 1968 al largo delle coste di Rimini fuori dalle acque territoriali italiane per farne il proprio mondo privato e diventò una micro nazione, per poi essere demolita nel 1969. L’isola si dotò di una sua lingua ufficiale (l’esperanto), di moneta e governo autonomi ovviamente osteggiata dal governo italiano che, in prima istanza, non prese molto sul serio la questione, bollandola come il gesto di un pazzo. Il caso dell’isola, invece, attirò l’attenzione della stampa straniera e finì all’ONU che lo accolse di buon grado, essendo ostile al governo del tempo, guidato da Giovanni Leone. La resistenza dei sei abitanti dell’isola mise in grande difficoltà l’autorità italiana che le dichiarò addirittura guerra mandando una nave armata per bombardarla, cosa che avverrà solo dopo che saranno stati fatti evacuare gli occupanti. I sogni, però si sa, non li puoi bombardare, infatti l’isola resistette. Fu riempita di esplosivo e fatta esplodere ma non affondò, i pali resistettero deformandosi anche se alla fine scomparve nelle acque nel 1969. Cast eccezionale per il film distribuito da Netflix: Elio Germano, Zingaretti, Bentivoglio, bravissimi a rendere sullo schermo le paure della classe politica del tempo che fu inaspettatamente scossa da questa rivoluzione, spaventata dall’idea (trasformata in realtà) che la democrazia si potesse formare in maniera alternativa e relativamente semplice da coloro che si erano mossi per creare quello che sembrava essere un “attentato alla Repubblica”. Lo Stato avrebbe potuto dialogare invece di reprimere e bombardare, è questo uno dei messaggi che fanno di questo film un importante spunto di riflessione. La forza è il mezzo? Le idee si possono bombardare? Possono scomparire nelle acque profonde senza lasciare traccia? Ciò che è piccolo e all’apparenza insignificante, quanto può farsi grande e minaccioso se condiviso e alimentato a dovere? L’isola affondò, ma qualcosa è rimasto a tutt’oggi, un segno importante della sua esistenza che ci fa pensare a cosa sarebbe accaduto se si fosse concretizzato il progetto dell’ingegner Rosa e degli altri abitanti. Dopo la scomparsa della piattaforma, infatti, per evitare che si ripetessero casi simili in futuro, l’ONU stabilì a 12 miglia (invece di 6) il limite delle acque territoriali italiane, ma per allontanare che cosa? Le idee? La libertà? Le alternative? Oppure tutto insieme? E' davvero così facile dare forma alle utopie? Queste sono alcune delle domande che Carlo si è posto dopo un'appassionata visione, quali sono le vostre?

L’incredibile storia dell’isola delle rose, Sydney Sibilia, 2020

mercoledì 2 novembre 2022

Carlo il bonsai adora leggere (ma alcune cose in particolare): "Cinzia" di Leo Ortolani

 

“Ho smesso da tempo, di spiegare alla gente. Tanto la gente vede quello che vuole vedere. E, quando mi guardano, lo so cosa vedono. Una macchia. Una macchia scura sul vestito pulito della loro realtà.”

 

Cinzia nasce dalla fantasia di Leo Ortolani come personaggio comprimario di Rat-Man. Nato uomo, di professione postino, si innamora perdutamente dell’eroe con la maschera dalle grandi orecchie, fino a decidere di cambiare vita, e diventare appunto Cinzia. Il personaggio non ci ha messo molto a riscuotere un successo clamoroso, diventando ben presto la spalla perfetta per le (dis)avventure di Rat-Man e per l’ironia spietata dell’autore. Ortolani sta al politicamente corretto così come il suo personaggio iconico sta al bodybuilding, ma è grazie alla sua innata sensibilità nel trattare temi estremamente delicati, che la sua comicità non risulta mai volgare né fuori luogo. E probabilmente è stata proprio questa sua recettività emotiva, a convincerlo, anno dopo anno, che Cinzia fosse molto di più di una mera spalla comica, ricettacolo di luoghi comuni (creati ad arte per rendere ridicoli i personaggi che la schernivano e non lei, vittima di abusi verbali). Per la fortuna di chi ha letto, e leggerà, questa graphic novel, alla fine il nostro autore ha preso il coraggio a due mani, realizzando un’opera di rara delicatezza e sarcasmo. Il primo passo era affrancare Cinzia dal mondo di Rat-Man, mettendola in un contesto normale, senza improbabili eroi in calzamaglia a rubarle la scena. Unico filo che lega i due universi, è Tamara (TESORA!), transessuale come Cinzia, nonché sua migliore amica. Così facendo Ortolani ha creato una storia veramente universale, nella quale tutti si rivedranno. Perché, tralasciando il contesto che vedrete più avanti, semplice espediente narrativo, qui si parla della ricerca del proprio io, della prima cosa da trovare per poter sperare di vivere sereni. Cinzia è un transessuale che, fin dalla giovanissima età, ha vissuto il tormento di una sessualità che non si estrinsecava e non combaciava  con il suo aspetto esteriore. Solo la nonna, dalla quale “prenderà” il suo nuovo nome, sembra capirla e sostenerla. Oramai adulta è alla continua ricerca della sua identità, ma soprattutto è disperatamente bisognosa di essere accettata per ciò che è. Passa così le giornate tra ricerca di un lavoro - colloqui infruttuosi, che naufragano sempre nel momento in cui l’esaminatore si accorge che nome e foto sul documento (Paul) non corrispondono a chi ha davanti – e riunioni LGBTQ. Ortolani qui è capace di fare poesia attraverso un’ironia dissacrante, che pare voler deridere la protagonista e il mondo a cui appartiene, salvo poi spiazzare il lettore con lampi di riflessione e tenerezza disarmanti. Poi arriva l’amore, come sempre nella vita di Cinzia – come sempre nella vita di tutti noi – a sparigliare le carte. Così lei decide, al fine di poter frequentare il “suo” Thomas, di tornare a essere Paul, anche se sa benissimo che sta andando incontro alla sconfitta, alla più grande di tutte le sconfitte: un amore non corrisposto.

 

“Stile. Ci vuole stile, quando devi affrontare una situazione importante. E cosa c’è, di più importante, di una storia che finisce? … Sono stata respinta tante volte, so quello che dico. Ma se sono stata respinta tante volte è solo perché sono stata innamorata tante volte. Mi piace, innamorarmi … Per questo voglio essere bellissima. Perché se nessuno mi ama, devo farlo io.”

 

Cinzia ci dimostra così tutta la sua tenacia, quella di donna forte, capace di tenere testa letteralmente a tutto il mondo, che la osteggia, che la guarda come appunto una macchia sulla camicia pulita. E riuscirà a prendersi quello che vuole, quello che sogna. Ma a che prezzo? Questo non è un fumetto, ci ricorda la nostra eroina, ma è la vita vera. Se fosse un fumetto ci sarebbe un lieto fine stile Disney probabilmente. Per fortuna Ortolani qui ci ha raccontato uno spaccato di realismo puro, dove i finali sono sempre più belli e toccanti delle favole. Impossibile non provare una fortissima empatia nei confronti di Cinzia, non gioire per lei, non rivedersi in lei (per chi ha raggiunto la propria consapevolezza, qualunque essa sia) o non invidiarla un po’ (se questa certezza di noi è ancora un cantiere aperto). Siamo ciò che siamo, ed è questo che ci rende stupend3.

 

“Io sono una macchia. Ma va bene così. Perché una macchia si vede più distintamente. E così scopri che non sei sola. Che di macchie ce ne sono tante. E io le amo tutte … Io sono Cinzia.”